POTENTE E FRAGILE_Le recensioni

potente e fragile

GIUSI DE SANTIS recensisce POTENTE E FRAGILE per Paperstreet

Due narratori, una sola voce: Potente e Fragile

Per la prima volta insieme Giuliana Musso e Ascanio Celestini al Teatro Biblioteca Quarticciolo

Ascanio mi ha detto che intervista significa guardarsi negli occhi. Ecco cosa abbiamo fatto.

Giuliana Musso

È la prima volta che Giuliana Musso e Ascanio Celestini condividono lo stesso palcoscenico, e viene da chiedersi come mai questo incontro accada solo ora, tanto appare naturale il modo in cui lo sguardo dell’una si posa sulle storie dell’altro. Lo spazio che lo ospita è il Teatro Biblioteca Quarticciolo che si contraddistingue, nel panorama romano, come una delle realtà più vivaci e interessanti.

Potente e fragile nasce come un’intervista – dove a dialogare sono le storie e gli esseri umani che le popolano – e ciò viene reso dall’essenzialità della scena, occupata solamente da due sedie e due leggii.

Giuliana Musso & Ascanio Celestini. ©Teatro Biblioteca Quarticciolo

Giuliana Musso, Ascanio Celestini. ©Teatro Biblioteca Quarticciolo

A condividere bagagli pieni zeppi di racconti e memorie, «raccolte» lungo il loro percorso, un uomo e una donna, instancabili esploratori del nostro presente. In Viaggio in PortogalloJosé Saramago scrive: «Il viaggio non finisce mai. Solo i viaggiatori finiscono. E anche loro possono prolungarsi in memoria, in ricordo, in narrazione.»

E «la memoria» ci ricorda Celestini «è una drammaturgia, una riscrittura del passato […] qualcosa che serve a ricordare a me in quale presente vivo.» Perché raccontare l’umano vuol dire essere capaci di vedere oltre la mera testimonianza e di affinare fantasia e sensibilità: scorgere quel filo invisibile che lega i personaggi alle loro storie, al loro tempo, e che diviene nelle mani dell’artista affermazione di poetica.

Il ritmo della narrazione è scandito da parole che diventano pensieri, consapevole sguardo sulla realtà, sulla lotta dell’umano contro il disumano. E le voci divengono carne e si muovono nello spazio insieme alle memorie dello «zingaro di otto anni che fuma» o di Domenica la barbona, rievocate – in Pueblo – in un giorno di pioggia; oppure si colorano di rosso sangue nelle parole di Bifolco Giovanni, padre di Bifolco Davide, ucciso a sedici anniinsieme ai suoi sogni – ne Il nostro domani –parole impregnate del fumo di un copertone al quale la prostituta di Laika cerca in vano di scaldarsi.

E poi, le voci deluse dei giovani seminaristi de La fabbrica dei preti, cui la vita è passata dinanzi senza mai fermarsi. E ancora, le voci sono lacrime come quelle della madre di Mauro – in Mio eroe – che a ventiquattro anni muore in Afghanistan. Parole come petali, fondamentali per lenire il dolore e, allo stesso tempo, potenti come colpi sparati dritti al petto. Puntuali nel proporre l’unica riflessione possibile sull’assurdità della guerra:

Perché dovrei essere arrabbiata con lo Stato? Perché? Chi è lo Stato? Siamo noi lo Stato. […] Qua dentro mi sembra che nessuno voglia fare la guerra. […] C’è qualcuno che vuole fare la guerra? Che vuole andare a far ammazzare i figli? […] Noi siamo lo Stato. E qua ciascuno fa la sua parte.

Voci che ci restituiscono tutta l’affettività con la quale i due artisti hanno camminato a fianco alle «loro» potenti e fragili storie.

Vibra un’urgenza misteriosa in queste storie, sembra che i due artisti ci dicano che non v’è modo di tenerle sopite poiché le parole diventano una necessità, un atto coraggioso, rivoluzionario ma non ribelle, un rifiuto a tutto ciò che è disumano, violento, cieco. «L’antitodo alla violenza non è l’amore. È l’intelligenza.», afferma Giuliana Musso. L’intelligenza di confrontarsi con la realtà, muniti di occhi e mani in grado di «raccogliere», attraverso una schietta e minuziosa indagine, le contraddizioni degli esseri umani, e diventarne portavoce.

Otto Dix Sette peccati capitali (1933). ©Staatliche Kunsthalle, Karlsruhe, Germania

È «tempo di pronunciare ora / dire, quella secca parola. / Tempo di saperla dire. No. Volerla dire. […] Vieni dentro il petto / dentro la voce. Radica in me, cresci, fermo, netto, disadorno, nitido no» “grida” nei suoi versi Mariangela GualtieriÈ il tempo della conoscenza profonda delle cose, di uno sguardo laico sulla realtà, è il tempo della rivoluzione del pensiero. È il tempo di essere esseri umani.

E dunque sia dato merito a questi preziosi e consapevoli ricercatori del nostro presente, ai raffinati narratori,

Ai poeti del quotidiano. […]
Agli eroi dimenticati e ai vagabondi. […]
A chi ha fatto il giro del mondo e a chi un giorno lo farà. […]
A tutti i cavalieri erranti. 
In qualche modo, forse è giusto e ci sta bene… a tutti i teatranti.

Corrado d’Elia Don Chisciotte. Diario intimo di un sognatore (2011)

 

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